Rottura del tendine d'Achille

La rottura del tendine di Achille nella maggior parte dei casi interessa soggetti relativamente giovani, più frequentemente di sesso maschile dediti ad attività sportive, nella quasi totalità dei casi senza precedenti patologici a carico del tendine. Più raramente interessa persone più anziane affette da dismetabolismi (più frequentemente il diabete) o da vasculopatie. È molto probabile che la rottura avvenga sempre su un tessuto tendineo degenerato per tendinosi o comunque indebolito per precedenti episodi microtraumatici cronici.
La rottura avviene quasi sempre a “cielo sereno” generalmente nel corso di un movimento di flessione dorsale del piede con ginocchio in estensione verosimilmente associato ad una contrazione del muscolo tricipite.

Il paziente riferisce un dolore acuto alla regione posteriore della gamba spesso associato ad un rumore di schiocco; compare immediatamente una impotenza funzionale piuttosto importante secondaria alla sintomatologia dolorosa ed alla insufficienza del tendine. Obiettivamente è presente gonfiore con ecchimosi e stravaso emorragico; alla palpazione è sempre possibile riscontrare una interruzione della continuità del tendine. Il Paziente non riesce a sollevarsi sulla punta delle dita o comunque il movimento avviene con molta difficoltà.

La diagnosi è essenzialmente clinica : si può ricorrere all'ecografia per documentare la lesione e per seguire la guarigione nel post-operatorio. Esami più sofisticati come la RMN hanno poca utilità nei casi acuti mentre possono trovare spazio nelle lesioni inveterate.


Trattamento

Ad eccezione di soggetti in cattive condizioni generali o molto anziani il trattamento è chirurgico.
Esistono numerose tecniche di riparazione delle rotture sottocutanee del tendine di Achille.

Le più tradizionali prevedono un intervento a cielo aperto con sutura dei due capi ed eventualmente con rinforzo del tendine utilizzando un lembo di ribaltamento prossimale; queste tecniche danno in generale buoni risultati ma sono gravate da numerose complicanze tra le quali le più temibili sono la necrosi cutanea e l’infezione profonda; un altro svantaggio sono i tempi di immobilizzazione piuttosto lunghi, in genere non meno di due mesi.
Esistono da alcuni anni metodiche di riparazione a cielo chiuso utilizzando dei sistemi di sutura percutanei; in questi casi il tempo di guarigione è piuttosto breve ma esistono inconvenienti legati alla difficoltà di accostare adeguatamente i due capi del tendine con possibili guarigioni in allungamento o rischi di ri-rotture.

Un buon compromesso tra le due metodiche è rappresentato da tecniche di riparazione con un mini-accesso; queste permettono di controllare l’affrontamento dei monconi e nello stesso tempo di preservare la vascolarizzazione del tendine minimizzando i rischi di complicanze e mantenendo tempi di guarigione piuttosto brevi. In generale nel post-operatorio viene mantenuto un tutore o una doccia in equinismo per tre settimane iniziando molto precocemente in carico e la mobilizzazione controllata; in generale le normali attività non sportive vengono riprese dopo due mesi.