Piede cavo

Con il termine di piede cavo si intende una conformazione del piede caratterizzata da una eccessiva concavità della volta plantare che comporta una superficie di appoggio più ridotta in genere limitata al tallone ed alla parte anteriore con esclusione della porzione intermedia della pianta.
Tale conformazione dipende da un eccessivo dislivello tra la parte posteriore del piede, che risulta normale, e quella anteriore che invece è flessa plantarmente; ne deriva che quando il piede è in appoggio la caviglia viene sollecitata in flessione dorsale, il calcagno tende a verticalizzarsi ed il tendine di Achille risulta stirato ed in tensione.


I soggetti portatori di piede cavo presentano pertanto un carico prevalente sull’avampiede sia perché la superficie di appoggio risulta minore, e pertanto aumenta il carico per cm quadrato, sia soprattutto perché l’avampiede durante il passo arriva prima del normale a terra e rimane in appoggio per un periodo maggiore.
Ovviamente esistono situazioni differenti di gravità; in effetti il piede cavo non è necessariamente una patologia ( circa un terzo della popolazione è portatore di un certo cavismo del piede ) ma lo può diventare se il cavismo è eccessivo o se è causato da malattie neuromuscolari.
In quest’ultimo caso il piede cavo è spesso familiare e assume generalmente un aspetto molto caratteristico in quanto si associa una deviazione in varismo (all’interno) del calcagno ed una deformità ad artiglio delle dita. Nei casi di modesta entità il piede cavo può essere del tutto asintomatico; in queste situazioni il piede ha una funzionalità pressoché normale, svolge meno bene la funzione di assorbimento delle sollecitazioni ma è molto efficace nella spinta (spesso gli sportivi sono portatori di piede cavo).

Nei casi in cui il cavismo è maggiore i disturbi interessano generalmente l’avampiede in cui si localizzano disturbi (dolore plantare anteriore, metatarsalgie, callosità, artrosinoviti, neuriti, …) causati dall’eccessivo carico. Nelle forme neuromuscolari si aggiungono frequenti disturbi della stabilità con cedimenti della caviglia e facilità alle distorsioni e disturbi alle dita per conflitto con la calzatura. In casi più avanzati si può avere comparsa di usura articolare con condropatia ed artrosi del retropiede.


Trattamento

Deve essere proporzionale all’entità della deformità e dei disturbi.
Nei casi più modesti può essere sufficiente l’uso di un plantare costruito su calco che ha lo scopo di distribuire in maniera più uniforme su tutta la superficie della pianta il carico. Nei casi più gravi e sintomatici occorre ricorrere a trattamenti chirurgici che in genere consistono nella correzione del cavismo a livello osseo; interventi solo sulle parti molli come fasciotomia plantare o trasposizioni tendinee sono utilizzabili solo in età pediatrica o nel giovane adulto ed in casi particolari.

Nella maggior parte dei casi si ricorre per la correzione ad interventi di resezione tarsale che consistono nell’asportazione di un cuneo osseo a base dorsale in modo da distendere il piede; a volte occorre associare osteotomie del calcagno per correggere il varismo o correzioni delle dita.
Nei casi più gravi causati da malattie neuromuscolari si utilizzano interventi che oltre a correggere la forma del piede vanno a bloccare alcune articolazioni del tarso per evitare la recidiva della deformità o si utilizzano interventi di trasposizione tendinea per meglio bilanciare il piede.