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La fascite plantare è una patologia del piede originata dall’infiammazione di una struttura legamentosa posta sotto la pianta del piede e denominata legamento arcuato o aponeurosi plantare (.fig. 1). È stato calcolato che, durante il cammino, per ogni chilometro percorso, ciascun piede sopporta il peso di circa 40 tonnellate. I piedi sono certamente in grado di sostenere un carico pesante, ma sforzi eccessivi e ripetuti possono spezzare alcuni equilibri. Anche la corsa su superfici molto dure o l’uso di scarpe troppo rigide possono irritare i tessuti del piede, in modo particolare la fascia plantare, e provocare dolore al tallone. In questi casi si parla di tallonite, o più correttamente di falloidina per indicare una sindrome dolorosa in corrispondenza del tallone, variabile per intensità del dolore, rilievi oggettivi e cause scatenanti. La fascite plantare può interessare un solo piede o entrambi. L’incidenza di questa patologia è compresa tra il 9 e il 20% della popolazione, ad essere colpiti sono in particolare le donne obese di età media ed i giovani runners di sesso maschile.
Fig. 1
Le cause
Il dolore è causato dall’infiammazione della fascia plantare, una spessa fascia fibrosa che origina dalla parte interna del tallone e si sviluppa lungo tutto il piede fino alla base delle dita (Fig. 1) la cui funzione è quella di quella di assorbire le sollecitazione meccaniche dovute al peso del corpo quando si cammina e soprattutto quando si corre. A causa dell’infiammazione e per le microlesioni causate da un’eccessiva sollecitazione può insorgere una sintomatologia dolorosa che inizialmente è localizzata in corrispondenza del tallone, se trascurata, tende a coinvolgere tutta la pianta, tranne le dita. Un tallone dolente di solito migliora spontaneamente soprattutto con il riposo. Tuttavia, molte persone tendono a sottovalutare o ignorare i primi disturbi e continuano a svolgere quelle stesse attività che lo hanno causato. In tal modo il dolore non regredisce e può cronicizzare fino a condizionare pesantemente anche la normale camminata.
La fascite plantare è una lesione da sovraccarico funzionale, tipica del podista o comunque dell’individuo che pratica attività sportiva in cui si richiede massima sollecitazione plantare del piede e contemporanea estensione delle dita. Nella maggior parte dei casi, il dolore in sede plantare si sviluppa senza una ragione specifica e identificabile. Tuttavia esistono alcuni fattori predisponenti. Tra i fattori di tipo anatomico possiamo elencare: muscoli del polpaccio più corti o contratti, che riducono la capacità di estensione del piede verso l’alto; piede cavo o piatto (ovvero l’arcata longitudinale particolarmente innalzata o esageratamente abbassata). Altri elementi favorenti sono dati dall’obesità o da un eccessivo peso corporeo. La fascia plantare è una struttura progettata per assorbire gli elevati stress e le tensioni a cui sono sottoposti i nostri piedi, ma a volte una pressione eccessiva danneggia o lacera i tessuti. La naturale risposta del corpo alle lesioni è l’infiammazione, che provoca dolore al tallone (Fig. 2) e rigidità della fascia plantare.
Fig. 2 Fig. 3 Fig. 4
Il piede cavo o il piede piatto, come detto, sono fattori predisponenti per la tallodinia, così come eventuali alterazioni dell’assetto del retropiede sul piano frontale in carico (varismo o valgismo) vanno sempre valutate in quanto possono essere alla base di tallodinie biomeccaniche da sovraccarico laterale o mediale del tallone. In alcuni casi la fascite plantare si associa alla sindrome da spina calcaneare inferiore, piccola sporgenza ossea che si forma sotto al tallone, proprio nel punto di intersezione con la fascia plantare. Si manifesta con dolore al tallone persistente a livello del tallone avvertito in particolare al mattino dopo i primi passi; a volte si attenua nel corso della giornata. Il dolore provoca difficoltà a camminare e a sollevarsi sulla punta del piede. L’esame clinico è utile ad individuare la sede del dolore e a stabilire il tempo trascorso dalla sua insorgenza. La valutazione in carico del piede effettuato con il podoscopio è utile per una corretta definizione dell’assetto globale del piede.
Le radiografie del piede consentono di escludere altre cause del dolore al tallone, come fratture, artrosi etc. Non è raro osservare in questi casi immagini riferibili ai cosiddetti speroni o spine calcaneari (Fig. 3). La presenza di spine calcaneari è riscontrabile in una persona su 10, ma di questi solo il 5% manifesta dolore al tallone. Si può pertanto ragionevolmente affermare che la spina calcaneare non è la causa della fascite plantare ma semmai una sua conseguenza intesa come fenomeno irritativo dell’osso da eccessiva e ripetuta trazione della fascia plantare. Per ottenere una diagnosi più accurata è consigliabile eseguire l’ecografia o la Risonanza magnetica. L’ecografia permette di valutare lo spessore della fascia plantare e l’eventuale presenza di micro lesioni fasciali. La risonanza magnetica mette in evidenza con più precisione l’anatomia dell’aponeurosi plantare, in particolare un ispessimento in corrispondenza della sua inserzione calcaneare (Fig. 4). Consente anche di osservare un’eventuale presenza di edema dell’ osseo, e l’atrofia del cuscinetto adiposo calcaneare.
Le cure
Trattamento conservativo
Oltre il 90% dei pazienti con fascite plantare migliora spontaneamente o a seguito di trattamenti semplici (entro 3- mesi dalla comparsa dei sintomi) quali riposo, ghiaccio, farmaci antinfiammatori non steroidei, questi ultimi da assumere in dosi e tempi stabiliti dal medico. Sono indicati anche esercizi di allungamento muscolare del tricipite surale e della fascia plantare. Si possono praticare infiltrazioni locali di cortisone (al tallone e non sulla fascia plantare). Uso di scarpe dotate di supporto ammortizzante al tallone, e plantari su misura atti a correggere il varismo o il valgismo del retro piede e di supporto dell’arcata longitudinale. Cicli di terapia fisica (Ultrasuoni, Laser, Tecar), terapia con onde d’urto.
Trattamento chirurgico mininvasivo: release della fascia plantare e trapianto di cellule staminali
Il trattamento chirurgico deve essere preso in considerazione se, dopo circa 4 mesi dall’insorgenza dei disturbi dolorosi e lo svolgimento di terapie, il dolore e la limitazione del movimento persistono e l’ecografia (o la Risonanza Magnetica) mostra un ispessimento della fascia plantare. Si tratta di un intervento denominato di “Release” (allentamento) della fascia plantare e l’innesto di cellule mesenchimali staminali prelevate da midollo osseo della tibia.
Tecnica operatoria
Si inizia praticando un’iniezione di anestetico locale (fig. 5) nel tallone nel punto di inserzione della fascia plantare al calcagno.
Fig. 5 Fig. 6 Fig. 7
Successivamente viene eseguito un’incisione di 0,5 cm a 2 cm di distanza dal margine posteriore del tallone (Fig. 6). Si prosegue con un piccolo taglio di 1 cm della fascia plantare (Fig.7). In presenza di una spina calcaneare di rilevanti dimensioni (fig 8) si esegue anche una asportazione-regolarizzazione chirurgica della stessa con la tecnica percutanea mininvasiva con l’utilizzo di una mini fresa motorizzata (Fig. 9-10).
Fig. 8 Fig. 9 Fig. 10
Per la preparazione del concentrato Osteo-midollare autologo è necessario effettuare in anestesia locale (Fig. 11) un prelievo dalla tibia di circa 10-20 cc di materiale osteo-ematico (Fig.12 ).
Fig. 11 Fig. 12
Il preparato estratto viene poi separato e concentrato mediante un’apposita procedura (Fig.13) della durata di alcuni minuti utilizzando un apposito dispositivo di centrifugazione (Fig.14).
Fig.13 Fig. 14
Infine si esegue l’infiltrazione del concentrato Osteo-midollare autologo con una siringa (Fig.15).
Fig.15
La procedura si conclude con un punto di sutura della cute (Fig.16) e una fasciatura (Fig.17).
Fig.16 Fig.17
Lo scopo dell’intervento è di far cessare il dolore e facilitare la riparazione/rigenerazione della fascia plantare danneggiata. Il paziente camminerà senza l’appoggio completo del piede durante la prima settimana e, successivamente, potrà riprendere gradualmente a camminare con una scarpa da ginnastica. La regressione dei disturbi si ottiene generalmente nell’arco di 3-4 settimane.